L’anniversario della perdita di bitcoin da cui nacquero gli hardware wallet

Nove anni fa avveniva la perdita di bitcoin dalla quale nacque il primo progetto hardware wallet. 

Infatti a marzo del 2012, quando un bitcoin valeva ancora meno di 1$, un attacco hacker riuscì a rubare 3.094 BTC dal primo pool di mining di bitcoin esistente al mondo, SlushPool. 

Questo pool era ospitato sul servizio di cloud hosting britannico Linode, ed era gestito da Marek Palatinus, alias Slush. 

Quell’evento colpì molto Palatinus, anche perché dovette poi compensare le perdite di tasca propria. In particolare il furto avvenne ai danni di un hot wallet (ovvero un wallet online), mentre il cold wallet (ovvero quello offline) non fu intaccato. 

Palatinus l’anno successivo fondò SatoshiLabs, ed inventò il primo hardware wallet, Trezor

Marek Palatinus racconta: 

“Questo incidente, e molte altre storie simili, dovrebbero ricordare a tutti che conservare bitcoin su qualsiasi servizio online, come un exchange, è un rischio inutile. Si è sempre esposti ad una potenziale perdita totale, mentre con la custodia personale si può valutare meglio il rischio e non dipendere da negligenze di terzi. Le monete che non sono coinvolte in scambi attivi dovrebbero essere conservate in cold storage utilizzando un wallet hardware, a cui è possibile accedere comodamente senza essere esposti alla rete”. 

Gli hardware wallet per evitare la perdita di Bitcoin

Gli hardware wallet creano le chiavi private offline, e le conservano isolate rispetto al resto del mondo. In questo modo le criptovalute risultano essere al sicuro contro le minacce esterne, a patto che venga conservato e protetto adeguatamente il seed. 

Va infatti ricordato che la maggior parte dei furti di criptovalute avviene su wallet o exchange “caldi”, ovvero che consentono un accesso da remoto. Riuscire ad impossessarsi di criptovalute conservate su wallet offline è estremamente più difficile. 

Pertanto non è mai una buona idea conservare i propri token su wallet gestiti da terze parti, come ad esempio quelli degli exchange, perché di fatto quei wallet risultano accessibili da remoto. 

In particolare ciò che fa la differenza è la custodia delle chiavi private, perché solamente chi ha accesso alle chiavi private può disporre liberamente dei token.

Va tuttavia ricordato che il cosiddetto “seed“, ovvero l’elenco di 12 o 24 parole per il backup ed il recupero dei wallet, consente a chiunque di generare sempre le stesse identiche chiavi private, pertanto è necessario conservarlo e proteggerlo con estrema cura, ad esempio offline. 

Con un hardware wallet il cui seed è conservato solamente offline, ed adeguatamente protetto, di fatto nessuno ha accesso alle chiavi private se non il possessore dello stesso wallet.

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Questo articolo è proveniente dalla Redazione di The Cryptonomist Magazine Digitale diretto da Amelia Tommasicchio: una delle testate specializzate tra le più seguite nel mondo delle Cryptovalute e della DeFi

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